Moda e Covid: gli effetti della pandemia nel fashion system

Universal Shop Moda e Covid

Il Covid ha avuto un forte impatto nella moda, dando una scossa al sistema. La moda post-pandemia sarà più attenta e rispettosa dell’ecosistema, così come lo saranno i consumatori stessi, a metà tra il bisogno di un ritorno alla spensieratezza pre-virus e una rinnovata consapevolezza sulle priorità della vita.

La moda non è un look firmato. Essa va ben oltre il semplice vestiario. La moda è una forma di espressione artistica che assorbe i cambiamenti sociali e li rielabora in chiave estetica. Eventi storico-sociali e correnti culturali hanno da sempre influenzato le nostre tendenze fashion. Tra questi è impossibile non menzionare il Covid-19. La pandemia ha portato a profondi e irreversibili cambiamenti nel fashion system. Innanzitutto, l’industria della moda ha dovuto prendere atto dei propri limiti; in secondo luogo, i consumatori hanno cambiato bisogni e priorità. I canali di comunicazione e vendita hanno visto un incremento del settore digitale, migliorando anche l’esperienza di acquisto dei clienti. Ma vediamo gli effetti più importanti della pandemia nel fashion system.

Una moda più sostenibile

Il mondo glitterato della moda cela in sé dei lati oscuri. Negli ultimi decenni, infatti, si è assistito a un’accelerazione dei ritmi di produzione e a un consumismo sfrenato, alla rincorsa di trend di sempre più breve durata. Questa dimensione prediligeva l’aspetto quantitativo e aveva il fine di consegnare ai consumatori un elevatissimo numero di prodotti a basso costo, ma di breve durata. Tra i problemi più gravi di tale sistema vi è stato quello dello smaltimento. Il “Fast-fashion” ha un impatto ambientale estremamente negativo. Una moda più sostenibile deve puntare sulla qualità, il rispetto dell’ambiente e dei lavoratori del settore e, soprattutto, deve rallentare.
Il Covid ha avuto un impatto positivo da questo punto di vista, imponendo all’intero fashion system un arresto forzato. C’è da dire, però, che la necessità di un cambiamento era stata avvertita ben prima della pandemia. Molte voci autorevoli del mondo della moda si sono espresse a riguardo. Tra i più combattivi citiamo Giorgio Armani, il quale scrive in una lettera aperta a WWD:

“L'emergenza attuale mostra che un rallentamento attento e intelligente è l'unica via d'uscita, una strada che finalmente ridarà valore al nostro lavoro e che farà percepire ai clienti finali la sua vera importanza e valore. Il declino del fashion system così come lo conosciamo è iniziato quando il segmento del lusso ha adottato le modalità operative del fast fashion, imitando il ciclo infinito di consegne di quest'ultimo nella speranza di vendere di più, ma dimenticando che il lusso richiede tempo, per essere raggiunto e apprezzato. Il lusso non può e non deve essere veloce […].
Ho sempre creduto in un'idea di eleganza senza tempo, che non sia solo un preciso codice estetico, ma anche un approccio al design e alla realizzazione dei capi che suggerisca un modo di acquistarli: farli durare […].
Questa crisi è un'opportunità per rallentare e riallineare tutto; per definire un paesaggio più significativo […]. Il momento che stiamo attraversando è turbolento, ma ci offre anche l'opportunità unica di riparare ciò che non va, di ritrovare una dimensione più umana. È bello vedere che in questo senso siamo tutti uniti”.

La pandemia, dunque, ha come merito quello di aver accelerato un processo di rinnovamento già in corso negli ultimi anni. Molti marchi del lusso si sono mossi in una direzione più sostenibile, puntando su materiali e tecniche di produzione rispettose dell’ambiente e anche sulla riduzione delle sfilate annuali.

Consumatori: tra bisogno di normalità e nuove priorità

Affinché questo cambiamento nel fashion system sia effettivo, anche il consumatore è chiamato a contribuire. In che modo? Diventando artefice di uno shopping più etico, che non si lasci incantare da prezzi convenienti e trend del momento. Indubbiamente, tuttavia, la pandemia ha già modificato la nostra percezione di priorità, rendendoci più consapevoli nei confronti del mondo che ci circonda. Sebbene sia troppo presto per registrare un’inversione di rotta, alcuni segnali sembrano affermare che le nuove generazioni (millennial e gen Z) siano più sensibili al problema ambientale rispetto alle precedenti.
Tuttavia c’è da aggiungere che questi cambiamenti non avverranno nell’immediato. Quello che ci si aspetta nei primi mesi post-pandemia è un aumento degli acquisti, giustificato dalla necessità e dal desiderio delle persone di tornare a una vita normale. Un articolo pubblicato da Business of Fashion, intitolato “Consumers Are Already Saying Goodbye to Their Sweatpants", il magazine afferma che (come si evince dalle statistiche delle ricerche su Google) si sta registrando un crollo della richiesta di indumenti confortevoli “da casa”. Sono abiti da sera e tacchi a spillo a registrare una crescita, a testimonianza del fatto che le persone hanno voglia di tornare a uscire. Dopo una prevedibile prima ondata di shopping compulsivo, forse potremmo sperare in una maggiore sensibilizzazione di entrambi, produttore e consumatore, sull’impatto che la moda ha sulla Terra.

Effetti opposti nei trend post-covid


Il Covid ha anche influenzato il lato estetico della moda. È interessante notare come le collezioni viste sulle passerelle testimonino l’influenza dei vari lockdown, dando origine a due trend opposti: da un lato un abbigliamento sportivo e oversize; dall’altro un’evidente voglia di strafare, con coloratissimi pattern e glitter scintillanti. Basta dare un’occhiata ai trend primavera/estate della moda maschile e femminile per rendersene subito conto.

Gli effetti della pandemia, insomma, sono ampiamente visibili sotto diversi aspetti. Una svolta positiva e più sostenibile del sistema moda è possibile. Basta essere tutti uniti, come sostiene Re Giorgio. Stilisti, produttori e consumatori devono cogliere questa opportunità avviata paradossalmente dalla crisi causata dal Covid e impegnarsi nel ritorno della moda a una dimensione più consapevole e meno consumistica.

Di Debora Lupi

Photo by  Arturo Rey on  Unsplash



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